DALLA PENNA AL FOGLIO - le impressioni di Chiara Gioffredo,  che ha tenuto il laboratorio


Gli studenti e le studentesse che ho incontrato al Liceo Bodoni si sono lasciati condurre con fiducia insperata nel viaggio “dalla penna al foglio”. Esercizi di scrittura autobiografica, riflessioni su lingua e stile, piccoli compiti di auto-editing, letture e analisi di testi contemporanei. Avrebbe potuto essere noioso; avrebbe potuto essere ripetitivo; avrebbe potuto essere “troppo”. Invece con ogni classe il lavoro è stato diverso e il focus del laboratorio, nonché il ritmo a cui condurlo, si sono definiti nei primi minuti di conoscenza degli allievi, grazie ai loro feedback e alla loro partecipazione. 
In molte delle classi, all’inizio dell’incontro, passeggiavo tra i banchi, scrutavo i ragazzi, studiavo com’erano vestiti, e dall’abbigliamento ipotizzavo dettagli delle loro vite. Loro mi guardavano stupiti, forse un po’ intimoriti. Poi li sfidavo: “E io chi sono?”, chiedevo; e fingevo, nel mostrare le mie scarpe sporche di terra, di aver appena sotterrato un cadavere. La risposta era divertita ed entusiasta. Quando poi spiegavo loro che è così che nasce una storia – dal niente, da un dettaglio – e che imparare a scrivere significa innanzitutto imparare a guardarsi attorno, a esercitare uno sguardo attento al mondo circostante, i loro occhi mi seguivano attentissimi, curiosi. Desiderosi di imparare.
Nel condurre i laboratori, mi è sembrato di intuire un bisogno dei giovani di oggi a cui la scuola, dove lavoro ormai da qualche anno, ancora fatica a dare risposta: un bisogno di realtà, di concretezza, di vicinanza all’esperienza adolescenziale, che è ormai molto lontana da quella degli adulti, resa diversa dalla transizione al digitale e dall’esperienza del Covid-19. Nelle classi ho parlato di libri, scritture, letteratura. Quest’ultima, mi è parso, viene vissuta dai più come una materia distante, non attrattiva, un mero obbligo scolastico; eppure, a quell’età, la lettura e l’esperienza letteraria potrebbero costituire un importante specchio, una via d’accesso o al contrario una via di uscita da se stessi e dalla propria interiorità. Ho cercato, per questo, di entrare nell’ambiente scolastico con un ruolo da outsider, per portare la scrittura come un gioco, uno strumento per esplorare e sperimentare la propria creatività. Mi interessava far capire ai ragazzi che tra Boccaccio e un autore contemporaneo che scriva d’amore, e tra questi e i loro stessi sentimenti di giovani innamorati, non c’è poi tutta questa differenza. E infatti la voglia di mettersi in gioco è stata tanta: anche con dettagli scomodi, anche con emozioni forti; e, in più, con tante domande. I molti che dicevano di detestare la lettura non si sono tirati indietro, e mi sembra di non esagerare nel dire che anche chi pareva più scettico alla fine si è ricreduto, o quanto meno divertito. Ho voluto anche dare agli studenti qualche nozione di linguistica, la scienza del linguaggio, ed è stata una scelta vincente: molti di loro erano attratti da qualcosa di cui non si sente parlare tra i banchi di scuola. 
Alla fine di una lezione, una ragazza è venuta a chiedermi il titolo di un libro che avevo nominato; un altro è andato in libreria a comprare il testo dell’autore contemporaneo che avevamo affrontato; altri due si sono fermati per ringraziarmi. Ne sono uscita soddisfatta, ma soprattutto profondamente grata, io a loro, per avermi concesso un raro privilegio: quello di entusiasmarli. Nel caso vi domandaste perché l’entusiasmo possa essere per me così importante, mi soccorre l’etimologia: dal greco enthousiasmos, derivato di enthousiazo, letteralmente “avere un dio dentro”.

Chiara Gioffredo
ex allieva
Liceo Bodoni - Saluzzo